Ordine illegittimo: è responsabile anche il lavoratore che lo esegue | L'ENOLOGO RIVISTA UFFICIALE DI ASSOENOLOGI
Un lavoratore può rifiutarsi di eseguire un c.d. ordine illecito/illegittimo?
Non solo il lavoratore può, ma deve!
È quanto affermato, e confermato, dalle sentenze di diversi Tribunali, fino alla Cassazione.
Nel nostro approfondimento:
- I doveri del lavoratore
- Esecuzione di un ordine illegittimo
- Licenziamento per giusta causa
- Segnalazione illeciti - Nuova disciplina del whistleblowing Decreto Legislativo 24/2023
Rubrica "Diritto del Lavoro, Commerciale e Societario"
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I doveri del lavoratore
Tra i doveri del lavoratore si annovera quello di obbedienza, ossia di esecuzione delle direttive, così come impartite dal datore di lavoro.
La Cassazione, infatti, è sempre stata molto chiara nel ribadire come, in linea generale, il lavoratore non possa entrare nel merito di scelte aziendali e come non possa rifiutarsi di eseguire la propria prestazione, pena il configurarsi di un inadempimento delle proprie obbligazioni, con le ben note conseguenze.
La valutazione da parte del lavoratore si pone, quindi, come eccezione e può, e deve, intervenire solo relativamente a quelle direttive che, se eseguite, potrebbero determinare, ad esempio, una responsabilità in capo al lavoratore stesso.
Non ogni ordine, infatti, deve essere “ciecamente” eseguito, così come non ogni ordine può essere arbitrariamente disatteso.
L’esecuzione di un ordine illegittimo
Il lavoratore è legittimato a non seguire quegli ordini illeciti e contrari alle norme ed ai principi del nostro ordinamento, che possano comportare una responsabilità anche penale dell’esecutore o possano mettere a repentaglio la sua incolumità.
Non deve essere portato in esecuzione, quindi, quell’ordine che sia tale da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore o sia tale da esporlo a responsabilità penale, connessa allo svolgimento delle proprie mansioni.
Ove il lavoratore, in possesso delle necessarie cognizioni tecniche per avvedersi di tale illiceità, decidesse di eseguire, comunque, tale ordine, non potrà che incorrere in responsabilità, anche penale ed anche in concorso con il proprio datore di lavoro.
Il lavoratore, in simili ipotesi, non potrà avvalersi della scriminate di cui all’art. 51 c.p., secondo cui “l’adempimento di un dovere imposto (...) da un ordine legittimo della pubblica Autorità esclude la punibilità”.
Il rapporto di lavoro, infatti, è un rapporto privatistico e l’ordine del datore di lavoro non può essere equiparato a quello di un’Autorità, stante l’assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico del medesimo sul lavoratore.
In una simile ipotesi, non sarebbe, neppure, applicabile l’articolo 54 c.p., ossia l’esimente dello stato di necessità, in quanto il timore di perdere il posto di lavoro non può giustificare il compimento di azioni illecite e non può giustificare la mancata denuncia, intesa come atto di correttezza e buona fede, anche come contestazione al proprio superiore, da parte del lavoratore.
Il licenziamento per giusta causa
Non solo, la Cassazione ha confermato che il lavoratore, che adempia ad un ordine illegittimo di un suo superiore, senza opporre rifiuto e/o senza effettuare alcuna segnalazione al datore di lavoro, può essere licenziato per giusta causa.
L’esecuzione di un ordine illegittimo, quandanche impartito dal superiore gerarchico, pertanto, non basta, di per sé, ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso.
Appare, infatti, evidente come il datore di lavoro non possa fare affidamento sul futuro esatto adempimento della prestazione da parte di quel lavoratore che consciamente (pur non intenzionalmente) ha violato i doveri di diligenza e fedeltà, senza rifiutarsi di eseguire l’ordine illegittimo del proprio superiore gerarchico (ordine della cui illegittimità il dipendente era in condizione di rendersi perfettamente conto) o, comunque, senza aver dato alcun avviso al proprio datore di lavoro.
La segnalazione degli illeciti e il whistleblowing
Ricordiamo che, oggi, la segnalazione di eventuali illeciti è agevolata dalla normativa in materia di whistleblowing, il Decreto Legislativo 24/2023.
Tale Decreto ha riordinato e disciplinato più compiutamente la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea, che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.
Benché tale decreto sia vincolante per le aziende più strutturate, con almeno 50 dipendenti, contiene una disciplina e delle tutele di base, che ogni azienda virtuosa dovrebbe adottare a tutele propria e dei propri dipendenti.
La ratio della normativa è la determinazione di canali di segnalazione (sia interni all’azienda sia esterni) che consentano ad ogni “segnalante” (per tale intendendosi anche qualsiasi lavoratore, sia autonomo sia subordinato, che operi all’interno di un ente privato) di segnalare una serie di illeciti (tra cui a titolo esemplificativo, illeciti amministrativi, contabili, civili o penali o ancora illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione europea o nazionali relativi, ad esempio, ai settori della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e della salute e benessere degli animali; della salute pubblica e della protezione dei consumatori ecc..), in sicurezza.
Viene, infatti, garantita, in primo luogo, la riservatezza del segnalante (infatti, la sua identità e qualsiasi altra informazione, da cui può evincersi direttamente o indirettamente tale identità, non possono essere rivelate, senza il consenso espresso del segnalante medesimo, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati) e, in secondo luogo, il segnalante è garantito da eventuali ritorsioni (per tali intendessi qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in conseguenza della segnalazione che provoca o può provocare, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto, tra cui ad esempio il licenziamento).
In questo modo si è voluta creare una sorta di “safe zone” per il segnalante, che non dovrà più temere ripercussioni nel denunciare violazioni di norme dell’Unione Europea o nazionali, anche qualora tali violazioni siano compiute dal proprio un superiore gerarchico e anche qualora si tramutino in ordini illegittimi che il lavoratore avrà l’onere di rifiutare.
Estratto dall'articolo pubblicato su L'ENOLOGO ON LINE - la rivista ufficiale di Assoenologi
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