OUTSOURCING E OFFSHORING: BREVI RIFLESSIONI nel contesto logistico |IL GIORNALE DELLA LOGISTICA
Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) l’esternalizzazione e la delocalizzazione sono fenomeni che hanno avuto un impatto significativo anche sulla pandemia da COVID-19, evidenziando la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali, e rendendo più difficile per i paesi gestire la pandemia.
A seguito della situazione pandemica il fenomeno delle delocalizzazioni sembrerebbe destinato a contenersi, anche, nel caso, in favore del contrapposto fenomeno dell’outsourcing rivisto in chiave del tutto nazionale.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Rubrica "Il parere del legale"
Outsourcing: definizione, cessione di un ramo d’azienda, appalto di opere e servizi
L’outsourcing deriva dalla combinazione delle parole “out” e “sourcing”, e può essere letteralmente inteso come “ottenere servizi esterni”.
Questo processo implica che un’azienda affidi a terzi compiti e/o interi reparti, beneficiando così di un servizio esterno e terzo efficiente.
Questa pratica consente alle aziende di delegare parte dei propri servizi, di solito in settori secondari, a fornitori terzi specializzati, in modo da consentire all’azienda di concentrarsi appieno sul suo core business.
Le imprese che adottano questa strategia, solitamente, lo fanno con l’obiettivo di ridurre i costi e al contempo migliorare le performance in specifiche attività, come ad esempio raggiungere determinati e migliori standard qualitativi.
Trasferendo la gestione di attività, generalmente non considerate strategiche, a fornitori esterni, l’azienda intende “liberare” risorse finanziarie, umane e tecniche da impiegare in settori caratterizzanti il proprio business, per aumentare la sua capacità di ottenere e mantenere un vantaggio competitivo sul mercato.
Da un punto di vista più strettamente normativo, nel 2006 la Giurisprudenza, in particolare la Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lavoro, 02.10.2006 n. 21287) è intervenuta fornendo una definizione di “outsourcing”. Secondo la Corte, tale fenomeno comprende:
tutte le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base (cd. core business). Ciò si può fare, tra l’atro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a norma dell’art. 41 Cost. Sta di fatto che l’appalto di servizi e la cessione di ramo di azienda sono contratti con caratteri giuridici nettamente distinti e non confondibili
Per cessione di ramo d’azienda, agli effetti dell’art. 2112 c.c., si intende il trasferimento di un insieme di elementi produttivi, personali e materiali, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità.
Con la cessione di un ramo d’azienda, infatti, si effettua il trasferimento di un segmento dell’organizzazione produttiva, dotato di autonoma e persistente funzionalità. L’utilizzazione da parte del cedente dei prodotti e dei servizi del segmento ceduto formerà oggetto di distinto contratto con il cessionario.
L’appalto di opere e servizi costituisce il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento all’interno di una azienda di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro (art. 1655 c.c.).
Con l’appalto di opere e di servizi, quindi, il committente non dismette un segmento produttivo, ma si avvale dei prodotti e dei sevizi che gli necessitano, e che gli sono forniti da altra impresa che li produce avvalendosi di una propria organizzazione imprenditoriale.
Concretamente, spostare le risorse da un’attività di supporto ad un’attività di maggiore valore aggiunto si traduce in una maggiore efficienza nei processi gestionali e nella riduzione dei costi.
In molti casi, le motivazioni al ricorso dell’outsourcing possono essere molteplici, sia di natura tecnologica che strategica, piuttosto che una semplice riduzione dei costi operativi.
Uno dei motivi che spinge le aziende ad optare per l’outsourcing, anche e soprattutto nel settore della logistica, è la possibilità di acquisire una maggiore specializzazione in un settore specifico, grazie alle competenze del fornitore esterno.
In questo contesto, l’azienda può accedere a nuove tecnologie e competenze che le consentono di innovare le proprie attività, facilitando sia l’innovazione di processo che di prodotto, e riducendo i costi e i rischi associati all’implementazione di nuove soluzioni innovative.
Offshoring e le norme anti-delocalizzazione
Il fenomeno dell’“outsourcing”, soprattutto quello internazionale, però, non deve essere confuso con il c.d. “offshoring”, che parimenti ha caratterizzato il comparto.
Come detto, l’outsourcing coinvolge il trasferimento di processi aziendali interni a un’unità organizzativa esterna che può anche essere collocata all’estero.
Al contrario, l’offshoring, noto anche come delocalizzazione, si riferisce alla pratica di spostare l’intera attività produttiva in un diverso paese.
Durante la pandemia, anche il legislatore italiano è intervenuto in merito con la Legge di Bilancio del 2022, al dichiarato fine di garantire la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo nazionale.
Le norme di nuova introduzione sono state definite “norme anti-delocalizzazione”, ma anche a parere di molti commentatori del tutto impropriamente.
In verità, le nuove disposizioni introducono una serie di obblighi a carico delle imprese (in presenza dei requisiti previsti dalla legge) a prescindere dalla circostanza che si delocalizzi o meno l’attività anche all’estero.
Il presupposto di applicazione delle nuove norme, infatti, è testualmente la “chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività” (Art. 1, comma 224 Legge Bilancio 2022).
Di fatto, quindi, non assume rilievo lo spostamento della attività da un luogo all’altro.
In buona sostanza, ogniqualvolta un datore di lavoro, che occupi più di 250 dipendenti, intenda procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50, dovrà procedere secondo quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2022.
La normativa dettaglia la procedura da seguire, dall’inoltro della comunicazione di chiusura, indicante le ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative della chiusura, il numero e i profili professionali del personale occupato e il termine entro cui è prevista la chiusura, alla predisposizione di un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura, nonché alla sua discussione con le rappresentanze sindacali, alla presenza dei rappresentanti delle regioni interessate, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico e dell’ANPAL.
Inoltre, vengono anche disciplinate le conseguenze del raggiungimento o meno di un accordo sindacale.
Come detto, tali disposizioni sono state oltremodo criticate, anche perché non si porrebbero neppure in continuità con quelle previste dal c.d. Decreto Dignità che, invece, con riferimento alle vere e proprie delocalizzazioni, ha introdotto una serie di norme finalizzate esclusivamente al recupero di provvidenze pubbliche, erogate laddove la cessazione fosse intervenuta prima dei 5 anni dalla fruizione delle stesse.
OUTSOURCING E OFFSHORING IN CONCLUSIONE
Ad oggi sembra che ci stiamo avvicinando ad un’inversione di tendenza.
Sembrerebbe essere destinata, quantomeno, ad avanzare più lentamente la corsa all’esternalizzazione e alla delocalizzazione in favore di una sempre più crescente internalizzazione, o comunque gestione nazionale dell’intera filiera.
A seguito della pandemia, infatti, è sempre più sentita l’esigenza di accorciare la filiera e di creare una efficace catena del valore all’interno di un reale ambiente nazionale economico di industria 4.0., volto a realizzare ed implementare strategie basate sull’effetto “Made in”, sulla tracciabilità e sulla sostenibilità.
Estratto dall'articolo pubblicato su "Il Giornale della Logistica"
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