Il licenziamento del socio di cooperativa: interventi legislativi e incertezze giurisprudenziali | IL GIORNALE DELLA LOGISTICA
La tematica del licenziamento del socio di cooperativa è tornata all’attenzione degli interpreti, anche a seguito della c.d. riforma Cartabia, che è intervenuta anche a modificare il processo del lavoro ed è entrata in vigore in data 28 febbraio 2023.
In particolare, il nuovo art. 441-ter c.p.c., rubricato “Licenziamento del socio di cooperativa”, all’impugnazione del licenziamento del socio di cooperativa si applica la disciplina dell’art. 409 e ss. c.p.c..
In tale ipotesi, il Giudice del Lavoro decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo, eventualmente proposte, anche qualora la cessazione del rapporto associativo comporti la cessazione del rapporto di lavoro.
Rubrica "Il parere del legale"
La posizione del socio di cooperativa
Come noto, infatti, il rapporto di lavoro del socio di cooperativa può inserirsi nell’ambito del rapporto associativo tra il medesimo e la cooperativa stessa.
I due rapporti, quello lavorativo e quello associativo, benché distinti tra loro (tanto che possono essere instaurati contemporaneamente oppure il rapporto di lavoro potrebbe instaurarsi successivamente all’adesione alla cooperativa) restano legati, soprattutto nella fase patologica del rapporto del socio con la cooperativa, da un nesso di pregiudizialità-dipendenza.
L’art. 5 c. 2 della Legge n. 42/2011, recante la Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore, prevede che
Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario
Mentre, l’art. 2 della stessa legge stabilisce che
Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo (…)
Dal combinato disposto di queste due disposizioni, prima dell’intervento della riforma Cartabia, ne derivava:
- la risoluzione del rapporto sociale determina anche la risoluzione del rapporto di lavoro;
- la delibera di esclusione deve essere impugnata presso il competente Tribunale delle Imprese;
- il licenziamento deve essere impugnato dinnanzi al Tribunale del Lavoro;
- qualora sia cessato solo il rapporto di lavoro e, quindi, il lavoratore continui ad essere socio della cooperativa, l’impugnazione del licenziamento può portare all’applicazione delle tutele di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, quindi anche alla reintegrazione nel posto di lavoro;
- Qualora, invece, la cessazione del rapporto di lavoro consegua al recesso o all’esclusione del socio, al Giudice del Lavoro è vietata la possibilità di ripristinare il rapporto di lavoro, essendo preclusa, per espressa esclusione normativa, la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
La ratio sarebbe quella di evitare, per le società cooperative, in cui rileva il c.d. dell’intuitus personae, la possibilità di ricostituzione, in via autoritativa, del rapporto societario una pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro.
Orientamenti della giurisprudenza
Nonostante l’apparente chiarezza del dettato normativo, in Giurisprudenza si sono susseguiti diversi orientamenti:
Da un lato si è dibattuto sul rito applicabile alle controversie tra socio e cooperativa considerato che il disposto normativo parla di competenza del tribunale ordinario per le controversie relative al rapporto mutualistico.
Si è passati da un’interpretazione tendente a riconoscere la competenza del Giudice Ordinario anche qualora si controvertesse di aspetti lavoristici; per poi passare attraverso l’interpretazione opposta facente leva sulla vis attrattiva del rito del lavoro, ogniqualvolta il socio-lavoratore introducesse una causa censurando un atto, formalmente, qualificato come delibera d’esclusione, ma, sostanzialmente, da qualificarsi come licenziamento.
La diversità di vedute sul rito applicabile ha portato a differenti visoni anche in relazione alle tutele applicabili.
Secondo una prima tesi giurisprudenziale, infatti, l’esclusione del socio comporta automaticamente il venir meno del rapporto di lavoro subordinato, con esclusione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. In particolare, è stato affermato che “il legislatore ha … previsto un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l’esclusione del socio e l’estinzione del rapporto di lavoro, che esclude la necessità, in presenza di comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro, di un distinto atto di licenziamento, così come l’applicabilità delle garanzie procedurali connesse all’irrogazione di quest’ultimo” (Cass. n. 14741/2011; Cass. n. 2802/2015; Cass. n. 9916/2016).
Una diversa tesi giurisprudenziale, invece, sostiene che anche in caso di esclusione e contestuale licenziamento del socio lavoratore, il Giudice debba applicare tutte le tutele che assistono un qualsiasi rapporto di lavoro subordinato.
In particolare, è stato affermato che se “la delibera di esclusione del socio si fonda esclusivamente sull’intervenuto licenziamento …, una volta ritenuto quest’ultimo illegittimo, consegue che parimenti illegittima è la delibera di esclusione del socio. Pertanto Legge n. 142 del 2001, ex art. 2 … trova applicazione l’art. 18 St. Lav.” (Cass. n. 14143/2012; Cass. n. 6224/2014; Cass. n. 17868/2014; Cass. n. 1259/2015; Cass. n. 19918/2016).
Secondo un ulteriore orientamento, in tutti i casi in cui la delibera di esclusione è stata annullata con sentenza passata in giudicato, trova applicazione l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e il lavoratore può essere reintegrato (Cass. n. 11548/2015).
Nel solco delle suddette interpretazioni si inserisce anche la sentenza n. 27436/2017 emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha affermato il seguente principio di diritto “in tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d’impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria”.
Qualora, quindi, il rapporto di lavoro sia cessato conseguentemente alla cessazione del rapporto associativo “l’omessa impugnazione della delibera ne garantisce … l’efficacia, anche per il profilo estintivo del rapporto di lavoro”, ma tale “effetto estintivo, tuttavia, di per sé non esclude l’illegittimità del licenziamento”, lasciando impregiudicata l’esperibilità della tutela risarcitoria.
Gli interpreti hanno ritenuto che questa pronuncia non abbiam fugato tutti i dubbi, anzi al contrario ne avrebbe posti altri: a quale tutela risarcitoria si riferisce la Corte, quella di diritto comune? Per i rapporti di lavoro a cui si applica il D.Lgs. 23/2015 è sempre applicabile la tutela risarcitoria ivi prevista, anche nelle ipotesi in cui sarebbe applicabile quella reintegratoria?
Conclusioni
In questo quadro si inserisce la c.d. riforma Cartabia che ha espressamente sancito l’applicazione del solo rito del lavoro anche quando venga meno il rapporto associativo, potendo il Giudice del Lavoro decidere su entrambe le questioni.
Ebbene, benché l’intervento legislativo potrebbe avere il pregio (l’uso del condizionale è d’obbligo) di aver fatto chiarezza in termini di rito applicabile, residuano ancora incertezze, non fugate dalla Giurisprudenza, in merito alla conseguente tutela applicabile.
Estratto dall'articolo pubblicato su "Il Giornale della Logistica"
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