NULLITÀ E TUTELA NELLA RISOLUZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO, la normativa per i licenziamenti | IL GIORNALE DEL rivenditore agricolo
Il licenziamento per un dipendente di un’azienda con meno di 15 dipendenti risulta nullo se viola l’art. 2110 del Codice Civile.
In caso di nullità il datore di lavoro ha l’obbligo di reintegrazione e di risarcimento.
Con la sentenza n. 27334 -16 settembre 2022, la Corte di Cassazione ha affrontato il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110 c.c., in violazione della disciplina sul periodo di comporto da parte di un datore di lavoro con meno di 15 dipendenti e quindi privo del requisito dimensionale di cui all’art. 18 c. 8 Stat. Lav.
Affrontiamo nel presente articolo il caso, la questione, la decisione della corte di cassazione, obbligo di reintegrazione ed un quadro in evoluzione.
Rubrica "Agri Dealers"
Rivista Rivenditore Agricolo
Il caso - licenziamento illegittimo: malattia per infortunio sul luogo di lavoro, datore di lavoro con meno di 15 dipendenti
Un datore di lavoro ha licenziato una lavoratrice per superamento del periodo di comporto per il perdurare della malattia oltre i termini del comporto stesso.
Occorre inoltre indicare che il detto datore di lavoro risulta con meno di 15 dipendenti.
Tuttavia, in giudizio, la mallattia risulta essere accertata come malattia derivata da un infortunio avvenuto sul luogo lavoro, occorso nell’espletamento delle mansioni assegnate al lavoratore, e di comprovata responsabilità datoriale.
La questione: licenziamento illegittimo e nullo per violazione art. 2110 c.c. parere Tribunale e Corte d'appello
Secondo il Tribunale, a prescindere dal requisito dimensionale del datore di lavoro, un tale licenziamento è nullo per violazione dell’art. 2110 c.c. e riconducile alla tutela reale di cui all’art. 18, commi 4 e 7 Stat. Lav., per questo il tribunale aveva, infatti condannato il datore di lavoro, alla reintegra e al risarcimento del danno al lavoratore nella misura di legge.
Di coseguenza il licenziamento è stato ritenuto illegittimo: il periodo di assenza dal lavoro per malattia da infortunio non avrebbe dovuto essere computato ai fini del comporto, che, pertanto, non risultava superato.
"A parere della Corte d’Appello, invece, il combinato disposto dell’art. 18, commi 4 e 7, deve considerarsi operante nei limiti della tutela cd. reale e non potrebbe, quindi, trovare applicazione in riferimento ai licenziamenti intimati da datori di lavoro privi del requisito occupazionale.
Tali ipotesi sarebbero riconducibili, al contrario, alla sola tutela c.d. obbligatoria, di cui all’art. 8 della L. 604/1966 e, pertanto, il datore di lavoro era stato condannato al risarcimento nella misura massima di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto."
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, invece si è espressa enunciando il seguente principio:
Nel sistema delineato (…), il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, comma 2, cod.civ., è nullo e le sue conseguenze sono disciplinate, secondo un regime sanzionatorio speciale, dal comma 7, che a sua volta rinvia al comma 4, del medesimo art. 18, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro
Secondo la Corte, il licenziamento intimato sarebbe radicalmente nullo per violazione dell’art. 2110 c.c., ossia di una norma imperativa finalizzata alla tutela di un diritto costituzionalmente tutelato, quale il diritto alla salute.
Il valore della tutela della salute è sicuramente riconosciuto come prioritario all’interno del nostro ordinamento, al pari del diritto al lavoro, considerato che l’art. 32 della nostra Costituzione lo definisce come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Secondo la Corte, quindi, la salute deve essere adeguatamente protetta all’interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il proprio posto di lavoro.
Obbligo di reintegrazione del lavoratore
Secondo la Corte di Cassazione, un licenziato intimato prima del superamento del periodo di comporto deve qualificarsi come del tutto nullo e comporta la condanna del datore di lavoro, anche se occupa meno di 15 dipendenti, alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento di un’indennità risarcitoria,
L'indennità va commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, ossia dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, in misura comunque non superiore a 12 mensilità, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali.
Un quadro in evoluzione
Il quadro è in continua evoluzione e, anche in riferimento ai licenziamenti intimati da aziende di piccole dimensioni, si profilino sempre maggiori rischi.
Precisiamo che l’interpretazione della Corte di Cassazione di cui alla sentenza in oggetto si riferisce ai rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015.
Per i rapporti instaurati successivamente, invece, trova applicazione il D.Lgs. 23/2015.
In particolare l’art. 2 rubricato “licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale” prevede che con la pronuncia di nullità del licenziamento il Giudice condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e condanna il datore al risarcimento del danno subito stabilendo, a tal fine, un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, da giorno del licenziamento alla reintegra, in misura comunque non inferiore a 5 mensilità, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali.
Tale disciplina trova applicazione indipendentemente dal dato occupazionale del datore di lavoro.
Estratto dall'articolo pubblicato su "Il Giornale del Rivenditore Agricolo"
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Sfoglia l'anteprima del numero di gennaio-febbraio 2023 Il Giornale del Rivenditore Agricolo
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