IL DIRITTO DI DIFESA DEL LAVORATORE DEVE ESSERE SEMPRE GARANTITO
E' interessante commentare la recente sentenza n. 303 del 2013 con la quale la I Sezione del TAR Marche è intervenuto in materia di accesso agli atti relativi a ispezioni sul luogo di lavoro.
Nel caso specifico il ricorrente aveva domandato l'accesso alla documentazione amministrativa concernente il verbale unico di accertamento e notificazione notificatogli all'esito dell'attività ispettiva summenzionata.
Con il provvedimento impugnato, la Direzione Territoriale del Lavoro aveva dato il proprio consenso all'accesso mediante estrazione di copia di alcuni documenti adducendo la seguente motivazione:
"con riguardo alla documentazione di cui ai punti: 1.b), 1.d) e punto 2, il procedimento non può avere seguito poiché fa riferimento ad atti amministrativi sottratti all'accesso ai sensi del combinato disposto dell'art. 24, comma 2, Legge n. 241/1990, dell'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. c), DM n. 757/1994, art. 329 c.p.p.".
Il ricorrente era insorto avverso il parziale diniego e aveva chiesto l'ostensione degli atti per i quali l'accesso non era consentito, facendo valere il diritto di difendere i propri interessi giuridici sia avverso gli atti del procedimento sanzionatorio instaurato presso la Direzione Territoriale del Lavoro sia a tutela della propria onorabilità. Il ricorrente, deducendo: violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, violazione dell'art. 111 della Costituzione, violazione degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e del d.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, nonché eccesso di potere, aveva chiesto, previa declaratoria dell'illegittimità del diniego, che venisse ordinata l'esibizione di tutti i documenti richiesti con l'istanza di accesso.
La Direzione Territoriale del Lavoro, ha chiesto il rigetto del ricorso, svolgendo le proprie difese sulle seguenti argomentazioni:
-gli atti per i quali l'accesso è stato denegato sarebbero "soltanto le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori agli ispettori del lavoro, oltre alle dichiarazioni rese in sede di richiesta di intervento, ossia
atti e documenti che non si limitano soltanto a tutelare la sfera della riservatezza personale e la parte debole del rapporto di lavoro, (...) ma anche, e soprattutto, l'interesse pubblico alla regolarità del lavoro";
atti e documenti che non si limitano soltanto a tutelare la sfera della riservatezza personale e la parte debole del rapporto di lavoro, (...) ma anche, e soprattutto, l'interesse pubblico alla regolarità del lavoro";
- il diritto di difesa del ricorrente non verrebbe in rilievo in quanto la Direzione Territoriale del Lavoro "non ha ancora adottato alcun atto conclusivo del più ampio procedimento amministrativo che si avvia con la richiesta di intervento di uno o più lavoratori". Ciò che comunque qui interessa osservare riguarda l'esame delle argomentazioni usate dai giudici amministrativi in merito alla riconducibilità degli atti alle categorie di documenti sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24, comma secondo, della legge n. 241/1990.
Secondo i giudici deve essere osservato che con D.M. n. 757/1994 sono stati determinati i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti formati o rientranti nella disponibilità del Ministero del Lavoro. L'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. c), del D.M. n. 757/1994, sottrae all'accesso, rispettivamente:
b) i documenti contenenti le richieste di intervento dell'Ispettorato del lavoro;
c) i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi. Il successivo art. 3 del richiamato D.M. n. 757/1994, stabilisce la durata della
sottrazione all'accesso, fissata, per le categorie di documenti indicate alle succitate lettere b) e c), rispettivamente in: "- cinque anni, o finché perduri il rapporto di lavoro nella ipotesi che la richiesta di intervento provenga da un lavoratore o abbia comunque ad oggetto un rapporto di lavoro;
sottrazione all'accesso, fissata, per le categorie di documenti indicate alle succitate lettere b) e c), rispettivamente in: "- cinque anni, o finché perduri il rapporto di lavoro nella ipotesi che la richiesta di intervento provenga da un lavoratore o abbia comunque ad oggetto un rapporto di lavoro;
- finché perduri il rapporto di lavoro, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale". Nel caso in esame, il ricorrente aveva dedotto che, in data 03 marzo 2011, antecedente di oltre un anno sia rispetto al verbale del 15 marzo 2012, sia rispetto all'istanza di accesso del 19 ottobre 2012, era stato intimato alle due lavoratrici controinteressate il licenziamento per giusta causa, con atti che non risultano essere stati impugnati.
Pertanto, considerato che le fattispecie di esclusione dall'accesso di cui alle lett. b) e c) dell'art. 2 del D.M. n. 757/1994 sono previste, in ragione della finalità di preservare il lavoratore da eventuali azioni discriminatorie, "finché perduri il rapporto di lavoro", e che, quando tale rapporto lavorativo abbia avuto termine, deve ritenersi venuta meno la ratio al cui perseguimento è funzionalizzata l'esclusione dall'accesso, e con essa l'esclusione medesima.
Da ciò emerge quindi l'insussistenza delle fattispecie di sottrazione all'accesso invocate dall'amministrazione con riferimento all'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. c), del D.M. n. 757/1994.
Inoltre il verbale di cui si era chiesto l'accesso si inserisce nel procedimento disciplinato dal d.lgs. n. 124/2004, per l'accertamento di fattispecie di illecito amministrativo in materia di rapporti di lavoro.
E' interessante altresì evidenziare il ragionamento fatto dai giudici del TAR secondo cui la contestazione della violazione, quale atto di chiusura dell'istruttoria, cristallizza i fatti ascritti e le relative fonti di prova, di talché le ragioni addotte dall'amministrazione nell'odierno giudizio a supporto
del diniego ostensivo, con riferimento al "corretto ed efficace svolgimento dell'attività di vigilanza ispettiva in materia di lavoro" non sono state ritenute fondate, perché tale attività di vigilanza ispettiva giunge a compiuta e conclusiva definizione con la contestazione effettuata con il verbale unico di accertamento e notificazione contemplato dall'art. 13 del d.lgs. n. 124/2004.
del diniego ostensivo, con riferimento al "corretto ed efficace svolgimento dell'attività di vigilanza ispettiva in materia di lavoro" non sono state ritenute fondate, perché tale attività di vigilanza ispettiva giunge a compiuta e conclusiva definizione con la contestazione effettuata con il verbale unico di accertamento e notificazione contemplato dall'art. 13 del d.lgs. n. 124/2004.
Secondo la sentenza inoltre, non può essere violato il diritto del datore di lavoro ispezionato di conoscere gli atti in base ai quali le contestazioni sono state mosse, al fine sia di esplicare le facoltà partecipative nell'ambito del procedimento sanzionatorio, sia di difendere i propri interessi giuridici in sede giurisdizionale. A tal riguardo, deve essere rilevato che il procedimento di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 124/2004, pur presentando aspetti di specialità della disciplina in ragione della precipua funzione cui lo stesso è preordinato, cionondimeno non deroga alla legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990 quanto alle facoltà di partecipazione procedimentale, nell'ambito delle quali è riconosciuto il diritto di prendere visione degli atti del procedimento.
I giudici sottolineano come, anche a voler configurare il procedimento sanzionatorio per violazioni in materia di lavoro quale procedimento di tipo contenzioso o a carattere semigiurisdizionale, come tale estraneo alla sfera di applicazione della legge n. 241/1990, a fortiori sarebbe da garantire il diritto di difesa e il diritto al contraddittorio, conformemente ai principi del giusto processo.
Secondo il TAR Marche in entrambe le ricostruzioni citate, procedimentale e di tipo contenzioso, il diritto di accesso agli atti su cui si fondano le contestazioni di violazioni in materia di lavoro è indiscutibilmente garantito.
Né la mera circostanza che il procedimento sanzionatorio non si sia concluso con archiviazione o con irrogazione di sanzione può fungere da causa di esclusione dell'accesso.
L'art. 13, quarto comma, del d.lgs. n. 124/2004, stabilisce che il verbale di accertamento e notificazione deve contenere, tra l'altro, "gli esiti dettagliati dell'accertamento, con indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati (...)".
Ebbene, a meno di non voler privare di ogni utile effetto la richiamata disposizione normativa, deve ritenersi che l'indicazione delle fonti di prova debba essere sufficientemente precisa e dettagliata, tale da consentire di svolgere osservazioni a difesa in relazione a ciascuna delle ridette fonti di prova, e
da consentire il diritto alla controprova, il che implica che tutte le fonti di prova indicate a carico debbano essere, altresì, disponibili e pienamente ostensibili.
da consentire il diritto alla controprova, il che implica che tutte le fonti di prova indicate a carico debbano essere, altresì, disponibili e pienamente ostensibili.
Un altro aspetto molto interessante della sentenza, se non addirittura il più interessante in esame concerne le considerazioni sull'infondatezza dell'ulteriore motivazione addotta nell'impugnato provvedimento di diniego, per ragioni di segreto istruttorio.
I giudici chiariscono che, ai sensi dell'art. 329 c.p.p., sono coperti dal segreto "gli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria".
L'attività ispettiva, compiuta dalla Direzione Territoriale del Lavoro non nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria, riveste carattere amministrativo e, come tale, non è soggetta a segreto ai sensi dell'art. 329 c.p.p., salvo che la stessa abbia dato luogo a trasmissione di notizia di reato o che i documenti abbiano formato oggetto di un provvedimento di sequestro dell'autorità giurisdizionale procedente.
Inoltre Deve, viene richiamato l' orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, i documenti di origine extraprocessuale acquisiti ad un procedimento penale, non compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, non sono coperti da segreto ai sensi dell'art. 329 c.p.p.
Alla luce di queste argomentazioni il ricorso è stato accolto, chiarendo come le Direzioni Provinciali del Lavoro non possano ostacolare il diritto partecipativo e di difesa dei datori di lavoro, negando l'accesso ai documenti acquisiti agli atti del procedimento che, in quanto tali, sono sì strumento utilizzabile a carico dei datori di lavoro, tenendo però presente anche la loro portata di ostensibilità al fine di garantire il mai compromettibile diritto alla difesa.
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