Licenziamento per giustificato motivo oggettivo insussistente
Sentenza n.125/2022 della Corte Costituzionale
Con la sentenza n. 125/2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limitatamente alla parola “manifesta”.
Licenziamento giustificato motivo oggettivo insussistente connesso a ragioni economiche, produttive o organizzative
Qualora, quindi, il fatto posto alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (connesso a ragioni economiche, produttive o organizzative) risulti insussistente, il Giudice dovrà disporre la reintegrazione del lavoratore, a cui si affianca la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria, parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto e comunque non superiore all’importo di dodici mensilità, per il periodo che intercorre dal licenziamento alla effettiva reintegrazione.
Da tale somma dovrà essere detratto quanto il lavoratore, nel periodo di estromissione, abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (aliunde percipiendum).
Il datore di lavoro, poi, sarà obbligato a versare i contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.
Motivazioni della Corte Costituzionale
Le motivazioni sulla base delle quali la Corte Costituzionale ha censurato la norma in esame sono molteplici, tra le quali:
- In primo luogo, la diversità dei rimedi previsti dalla legge a fronte di un licenziamento illegittimo dovrebbe sempre essere sorretta da una giustificazione plausibile e dovrebbe sempre assicurare l’adeguatezza delle tutele riservate al lavoratore illegittimamente espulso.
Nel peculiare sistema delineato dalla L. 92 /2012, la reintegrazione, sia per i licenziamenti disciplinari sia per quelli economici, si fonda sulla diversa nozione di insussistenza del fatto, senza far riferimento al grado dell’illegittimità.
Richiedere, quindi, che l’insussistenza del fatto materiale sia manifesta solo per la dichiarazione di illegittimità dell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo, costituisce una discriminazione dei lavoratori licenziati per GMO. - Non solo: il requisito del carattere manifesto dell’insussistenza del fatto è, inoltre, del tutto indeterminato.
Tale criterio si presta ad incertezze applicative e può condurre a soluzioni difformi, con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento.
Come sottolinea la Corte a chiare lettere “il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico”. - Ed ancora: il principio della manifesta insussistenza del fatto è oltremodo irragionevole, in quanto non ha alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato.
- Inoltre, l’indeterminatezza e l’irragionevolezza del requisito della manifesta insussistenza del fatto si riflette sul processo. “Oltre all’accertamento, non di rado complesso, della sussistenza o della insussistenza di un fatto, essa impegna le parti, e con esse il giudice, nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza”, così vanificando gli obiettivi di rapidità e della più elevata prevedibilità delle sentenze, e contraddicendo la finalità di una equa redistribuzione delle tutele ed imponendo un onere probatorio a carico del ricorrente irragionevole e sproporzionato.
Conclusioni
La pronuncia in commento ha il pregio di aver chiarito, definitivamente, che per disporre la reintegra il fatto materiale posto alla base di un licenziamento per GMO debba essere insussistente, senza ulteriori qualificazioni.
Tuttavia, permangono diverse incertezze sulle residue ipotesi in cui, invece, opera la sola tutela indennitaria.
Tali dubbi di certo sono il frutto del profondo mutamento che ha subito l’art. 18, sin dall’iter parlamentare di approvazione, in questi dieci anni di vigenza.
La tutela reintegratoria, infatti, si pone oggi come tutela primaria e non certo residuale.
Il potere di recesso del datore di lavoro è stato da sempre oggetto di interventi limitativi, motivati dall’esigenza di protezione del c.d. contraente debole, in attuazione dei principi costituzionali ex artt. 3, 4 e 41, comma II, Cost.
Ciononostante, certamente, residua chi si chiede se tali istanze siano ancora attuali e se davvero la reintegrazione possa considerarsi l’unica e sola garanzia che sia in grado di tutelare, da un lato, i lavoratori da un licenziamento illegittimo e, all’altro lato, favorire la stabilità dell’occupazione.
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